In occasione dei 39 anni di attività di Aitek, fondata il 6 giugno 1986, abbiamo incontrato Fabrizio Ferrari, presidente di Aitek SpA nonché uno dei protagonisti della nascita e dello sviluppo della nostra azienda, per ripercorrere le tappe fondamentali di questa lunga avventura imprenditoriale e gettare uno sguardo sul futuro.
Com’è nata Aitek e in quale contesto si inseriva la vostra esperienza iniziale?
Aitek è nata da un’iniziativa universitaria, in un contesto storico profondamente diverso da quello attuale. All’epoca non esisteva il concetto di spin-off accademico come lo intendiamo oggi, né si parlava di startup, premi o incubatori. Meno ancora esistevano reti di supporto o ecosistemi strutturati per l’innovazione. In quel periodo, l’attenzione era tutta sulla ricerca pura, e mancava una vera sensibilità imprenditoriale. Oggi si corre quasi il rischio opposto: l’innovazione sembra finalizzata a vincere premi più che a sviluppare idee e imprese.
L’entusiasmo iniziale fu determinante. Alcuni professori avevano attivato uno spin-off che restò inattivo per un certo periodo. Lo abbiamo ripreso io ed Ernesto Troiano, ancora oggi nostro socio, con l’idea di portare fuori dai laboratori universitari tecnologie come la robotica, l’intelligenza artificiale e l’elaborazione delle immagini. Tuttavia, il mercato dei clienti non era pronto ad accogliere soluzioni di una piccola realtà come Aitek, e il mercato della finanza, che avrebbe potuto investire nello sviluppo, ancora non esisteva.
Quali furono le prime vere opportunità che diedero slancio alla vostra attività?
Uno dei momenti decisivi fu l’ingresso nel progetto Telepass, un’occasione quasi fortuita ma cruciale. All’epoca Società Autostrade lavorava con tre grandi aziende ICT – Digital, IBM e Olivetti – e noi eravamo una piccolissima realtà. Una persona che si era candidata presso la nostra azienda, poi assunto in Digital, divenne project manager del progetto Telepass e si ricordò di noi. Questo aggancio ci permise di collaborare a uno dei tre progetti, e da lì iniziò il vero sviluppo industriale.
Alla fine, venne scelto proprio il progetto di Digital. Quando questa venne assorbita da un’altra grande azienda multinazionale, noi subentrammo come fornitori diretti di Autostrade. Si aprì così l’intero mercato dell’esazione pedaggi e dei trasporti, che rappresenta ancora oggi un pilastro per Aitek.
Come avete affrontato il passaggio da un modello basato sui progetti a uno più strutturato sui prodotti?
Crescendo, ci rendemmo conto che basarsi su un solo cliente – che all’epoca rappresentava il 90% del nostro fatturato – era estremamente rischioso. Inoltre, i progetti, pur essendo stimolanti, consumano molte energie e non generano ricavi ricorrenti. Da qui nacque la consapevolezza della necessità di diversificare, sia in termini di clienti sia attraverso lo sviluppo di prodotti proprietari.
Iniziammo a investire in settori come l’elaborazione video, la videosorveglianza e la sicurezza, partecipando a gare e collaborando con importanti istituti bancari. Realizzammo soluzioni tecnicamente molto avanzate, ma imparando anche quanto sia importante ascoltare l’utente finale: un prodotto innovativo rischia di fallire se non è compatibile con le abitudini o la cultura degli utilizzatori.
Quella fase fu per noi una vera scuola: capimmo che non basta la tecnologia, ma serve un dialogo costante tra chi progetta e chi utilizza.
L’intelligenza artificiale è nel nostro nome: come si è evoluto l’approccio a questa tecnologia?
L’intelligenza artificiale è parte integrante della nostra identità fin dall’inizio, ma per molti anni è rimasta una promessa più che una realtà applicabile. Le limitazioni principali erano la mancanza di dati e di capacità computazionale. Oggi questi due vincoli si stanno dissolvendo, grazie anche alla spinta degli investimenti globali.
Tuttavia, notiamo come l’Europa, e in particolare l’Italia, siano rimaste un passo indietro rispetto a Stati Uniti e Cina. Crediamo che sia fondamentale utilizzare l’AI in modo strategico, soprattutto nei settori in cui il nostro continente ha ancora un vantaggio competitivo: dalla manifattura alla moda, dal food alla pubblica amministrazione.
Personalmente trovo fuorviante la narrazione secondo cui ogni impresa dovrebbe necessariamente adottare l’AI per sopravvivere. L’AI è uno strumento, non un fine. Noi la utilizziamo per rendere i nostri prodotti più efficienti, non per inseguire una tendenza. In un’ottica di autonomia tecnologica, è anche cruciale non dipendere da un’unica piattaforma globale. La diversificazione resta una strategia vincente.
Qual è il valore delle persone e dell’organizzazione in Aitek? Che tipo di cultura aziendale avete costruito?
Tutti i soci e i collaboratori della cosiddetta “seconda ora” sono ancora parte dell’azienda, e questo la dice lunga sul clima che siamo riusciti a costruire. Aitek non è una “famiglia”, ma una “comunità professionale” in cui si è cercato di replicare lo spirito di collaborazione che esisteva nei laboratori universitari da cui siamo partiti.
La cultura organizzativa non si è mai fondata su un forte controllo gerarchico, ma su fiducia, responsabilità e suddivisione chiara dei ruoli. Un elemento determinante per la solidità dell’azienda è stato il presidio dell’area amministrativa e finanziaria: senza una gestione strutturata dei flussi, dei contratti e dei rapporti con le banche, la tecnologia da sola non basta.
Inserire nuove persone in contesti così coesi non è sempre facile: le comunità sono a volte poco permeabili. Ma quando il legame è autentico e le competenze sono condivise, la coesione diventa un vantaggio competitivo.
Come immaginate il futuro di Aitek? Qual è il ruolo delle nuove generazioni?
Siamo in un momento storico in cui è fondamentale attrarre, valorizzare e accompagnare i giovani. Da un lato per garantire continuità, dall’altro per condividere esperienza e spirito di innovazione con chi oggi ha l’energia e la voglia di costruire. Questo mix generazionale è una grande opportunità: abbiamo giovani che propongono idee e sono disposti ad ascoltare. Ed è in questo dialogo tra visione e memoria che può nascere il futuro.
Inoltre, chi entra in Aitek può prendere in considerazione anche l’opportunità di intraprendere e condividere con noi anche un’esperienza imprenditoriale. Il nostro stesso percorso lo testimonia: attraverso diversi passaggi e aumenti di capitale, è stato possibile l’ingresso nel capitale sociale del management che oggi guida con me l’azienda: Francesco Buemi, Massimo Massa, Andrea Oddera, Andrea Porcile e Paolo Questa.
Qual è l’importanza del mondo associativo?
Aitek ha anche sempre sostenuto la mia attività in ambito associativo, in particolare in Confindustria. Crediamo molto nella rete: dove non puoi crescere da solo, cresci con gli altri. L’associazione è stata per me un’occasione di arricchimento professionale e personale, e ha permesso di portare in azienda nuove idee, visioni, esperienze.